giovedì 30 giugno 2011

Machete (2010)

Ho rimandato a lungo, centellinando la visione come si fa col vino. E alla fine sono riuscita a vedere il tanto atteso Machete, diretto nel 2010 da Ethan Maniquis e Robert Rodriguez. Mi è stato chiesto di citare questa frase nell’eventuale recensione, lo faccio subito, giusto per riassumere le mie impressioni: è una cazzata così grande che non potevo non commuovermi.



Trama: Machete è un ex agente federale che viene incaricato di fare fuori un senatore impegnato nella lotta contro l’immigrazione messicana. Il “lavoro” non va a buon fine, Machete viene incastrato e da lì comincia la sanguinosa vendetta…



Cominciamo con un po’ di storia. Machete nasce nel 2007, in uno dei fake trailer che accompagnavano la versione USA del film Grindhouse, feature doppia che univa A prova di morte di Quentin Tarantino e Planet Terror di Robert Rodriguez (anche se il personaggio di Machete lo si incontra fin dal primo Spy Kids). Gli splendidi ed esilaranti fakes in questione erano Hobo With a Shotgun, Werewolf Women of the SS di Rob Zombie, Don’t di Edghar Wright e Thanksgiving di Eli Roth. Se avessi dovuto scommettere su chi per primo di questi registi avrebbe tratto un intero film da questi trailer, avrei detto Eli Roth. Ma siccome lui continua a menarsela con produzioni varie e tempestando i fan di tweets da far morire dal ridere senza mai mettersi dietro la macchina da presa, ecco che ci ha pensato l’infaticabile Rodriguez a prendere lo spirito del tamarrissimo trailer di Machete e a riportarlo fedelmente in un film. E che film!!



Machete è la quintessenza del b – movie, della mexploitation, chiamatelo un po’ come volete. In termini più prosaici è la legittimazione della tamarreide (senza pulmino e senza Fiammetta, per fortuna) più cafona, è un film fatto apposta per essere assurdo, senza senso, mal recitato, pieno di buchi nella trama, con personaggi inconsistenti e terronate assortite, dove il regista molla i freni del buon senso e del buon gusto e mostra sangue, mutilazioni, tette, culi, esplosioni praticamente in ogni scena, con il risultato che Machete si arriva o ad amare alla follia o ad odiare e demonizzare. Che piaccia o meno, è un giocattolo, e come tale va trattato. E’ il divertimento del bimbo Rodriguez, qualcosa che chi ha un minimo di senso dell’umorismo, nostalgia dei “bei tempi andati” e cultura trash non può non apprezzare. Ecco perché mi commuovo davanti a tanto spavaldo senso del ridicolo.



Considerata la marea di attori che si sono prestati all’operazione (tra cui un De Niro matto come un cavallo che si è palesemente divertito a far la parte del senatore razzista e pure un po’ porcello), accettando di indossare mise perlomeno imbarazzanti e pronunciare dialoghi a tratti inascoltabili (il monologo finale di Steven Seagal con corollario di dialogo imbecille tra la Rodriguez e la Alba è qualcosa che non riuscirò a dimenticare tanto facilmente…), mi viene da pensare che non sono l’unica cultrice del trash a questo mondo. E se Danny Trejo è l’icona vivente del (non) attore che mangia lo schermo con la sua inespressività, il capello unto, il corpo tozzo alla Wolverine, le sue frasi storiche (“Machete NON manda messaggi”), la sua capacità inspiegabile di far cadere ai suoi piedi le più belle donne del creato, insomma se lui E’ Machete già di per sé, Rodriguez gli crea attorno un gruppo di personaggi a dir poco splendidi nella loro assurdità e gli da la possibilità di compiere le imprese più sanguinose ed improbabili senza lesinare in effetti speciali, citazioni e gore. Lungi da me descrivere ogni immagine (il bungee jumping intestinale), dialogo, personaggio (Osiris!! Osiris!!) e sequenza ad avermi colpita (nel senso di farmi stramazzare a terra dalle risate urlando “No… ma come puoi?? Ma cos’è???”), perché non basterebbe un libro e rovinerei la sorpresa e l’incredulità di chi ancora non ha avuto la fortuna di vedere Machete. Vi basti sapere che dovete guardarlo, fosse l’ultima cosa che fate. Aspettando che Rodriguez decida davvero di girare Machete Kills e Machete Kills Again.



Attori e registi coinvolti nella realizzazione di Machete hanno già trovato ampio spazio sul Bollalmanacco: Robert Rodriguez, Danny Trejo (Machete), Robert De Niro (Senatore John McLoughlin), Michelle Rodriguez (Luz), Tom Savini (Osiris), persino Nimród Antal (una delle guardie del corpo di Booth, a occhio e croce quella che si fa venire la crisi di coscienza), li trovate tutti cliccando sui link.

Ethan Maniquis è l’altro regista della pellicola. Già collaboratore di Rodriguez dai tempi di Desperado, per quanto riguarda montaggio ed effetti speciali. Di lui non sono riuscita a scoprire né la nazionalità, né l’età, sorry.



Jessica Alba interpreta Sartana. Americana, la ricordo per film come Giovani diavoli, Fantastici 4 e Sin City; ha inoltre partecipato a Beverly Hills 90210, Flipper e Dark Angel, la serie tv che le ha dato la notorietà internazionale. Anche produttrice, ha 30 anni e un film in uscita, il quarto episodio di Spy Kids.



Steven Seagal interpreta Torrez. Prima di Chuck Norris erano lui e Jean Claude Van Damme a spaccare le chiappe a mille anonimi cattivoni in quanto versioni tamarre e più sfigate delle star Stallone e Schwarznegger. In particolare, Seagal ha partecipato a roba come Nico, Duro da uccidere e Sfida tra i ghiacci. Americano, anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 60 anni (Cristo, ha l’età di mio padre… Oddio, Seagal E’ mio padre!!).



Jeff Fahey interpreta Booth. Americano, la maggior parte dei lettori se lo ricorderà come Lapidus, il pilota di Lost, ma ha partecipato a parecchi film come Psycho III, Il tagliaerbe, Grindhouse, Planet Terror, e a serie tv come Miami Vice, Criminal Minds, Cold Case e CSI: Miami. Anche produttore, ha 59 anni e nove film in uscita.



Cheech Marin (vero nome Richard Anthony Marin) interpreta Padre Cortez. Uno dei migliori caratteristi degli ultimi decenni, utilizzatissimo da Rodriguez ma non solo, lo ricordo per film come Fuori orario, Ghostbusters II, Desperado, il meraviglioso Dal tramonto all’alba, Paulie – Il pappagallo che parlava troppo, Spy Kids (e seguiti), C’era una volta in Messico, Grindhouse e Planet Terror. Ha doppiato la versione inglese del Pinocchio di Benigni, i film Disney Oliver & Company e Il re leone, un episodio di South Park e ha partecipato alle serie Nash Bridges, Grey’s Anatomy e Lost. Americano, anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 65 anni e due film in uscita.



Don Johnson (vero nome Donnie Wayne Johnson) interpreta Von. Ex marito di Melanie Griffith, famosissimo per il suo ruolo come protagonista della serie Miami Vice, ha partecipato a film come Harley Davidson e Marlboro Man e a serie come Kung Fu, La famiglia Bradford e Nash Bridges. Americano, anche regista, produttore, compositore e sceneggiatore, ha 62 anni e due film in uscita.



Lindsay Lohan interpreta April. Ennesima ragazzina prodigio rovinata dal precoce successo che è riuscita, in tempo zero, ad affossare la sua carriera grazie a condanne per ubriachezza, furto, droga e quant’altro (infatti alla “veneranda” età di 25 anni è già frusta da morire..), ha partecipato a film come Genitori in trappola, Quel pazzo venerdì, Mean Girls e Herbie – Il super maggiolino, oltre ad alcuni episodi delle serie That’s 70’s Show e Ugly Betty. Americana, ha tre film in uscita.



Le guest star della pellicola sono quasi tutte più o meno legate all’universo “rodrigueziano” e ci vorrebbe un fan sfegatato per riconoscerle tutte. Nel mio piccolo segnalo Daryl Sabara (Julio), ovvero il piccolo Juni presente in tutti gli Spy Kids e Gilbert Trejo, ovviamente figlio di Danny, nei panni del muto disegnatore Jorge; tornano anche il dottore ciccione e le crazy babysitter twins di Planet Terror (le gemelle Elise ed Electra Avellan, nipoti acquisite di Rodriguez), qui “trasformate” in due combattive infermiere, mentre la reporter di origine messicana, interpretata dall’attrice Ara Celi, era la “inca mummy girl” dell’omonimo episodio della terza serie di Buffy l’ammazzavampiri. Vi fosse piaciuto Machete, io vi consiglio di vedervi in sequenza Dal Tramonto all’alba e Planet Terror, giusto per assistere all’escalation tamarra di Rodriguez, poi aggiungerei Desperado, sempre dello stesso regista e l’immancabile I mercenari, altro trashissimo omaggio moderno ai film di una volta. E ora, vi lascio con il trailer di questo capolavoro... ENJOY!!

lunedì 27 giugno 2011

Poltergeist: demoniache presenze (1982)

Il mio horror preferito rimane, indiscutibilmente, Shining. Scendendo invece di un gradino, per quanto riguarda gli horror più “prosaici”, credo proprio che, dopo averlo rivisto, il mio preferito sia Poltergeist: Demoniache presenze (Poltergeist), diretto nel 1982 dal regista Tobe Hooper.


Trama: i Freeling sono la tipica famigliola americana, padre, madre, e tre figli. Un giorno la più piccola, Carol Anne, comincia a vedere nello schermo della tv delle “persone”, e dopo poco tempo la casa dove vivono i Freeling diventa teatro di strani fenomeni paranormali, all’inizio divertenti e poi sempre più invasivi…


Prima delle telecamere nascoste di Paranormal Activity ci pensava l’approccio scientifico e parapsichico di Poltergeist: demoniache presenze a terrorizzare, con successo, l’audience internazionale grazie alla semplice immagine di una piccola bimba che, davanti ad uno schermo bianco, esclamava all’improvviso “They’re heeeree” (Sono quiii). Nonostante il film più famoso di Tobe Hooper sia il trucidissimo Non aprite quella porta, secondo me Poltergeist è sicuramente il più bello. Purtroppo, bisogna dire che c’è poco di suo in quel che si vede: la pellicola infatti porta scritto “Steven Spielberg” praticamente in ogni inquadratura, dialogo e nota della colonna sonora. Nello stesso mese dello stesso anno, infatti, uscivano nei cinema USA due film sostanzialmente identici nei presupposti, ma diametralmente divergenti per quanto riguarda lo svolgimento della trama. Uno era questo Poltergeist (prodotto e sceneggiato da Spielberg, anche se era stato proposto a Stephen King di scrivere la sceneggiatura), l’altro era lo storico, bellissimo, inarrivabile E.T. l’extraterrestre (diretto dal famoso regista). Entrambi avevano per protagonista una famigliola alle prese con qualcosa di assai lontano dalle esperienze comuni, fantasmi o alieni che fossero, ed entrambi avevano come fulcro l’idea che queste presenze “altre” decidessero di approcciarsi inizialmente ai bambini, gli elementi più fragili ma anche quelli dalla mente più aperta… più vitali e potenti, in qualche modo. Ma mentre il piccolo Elliott stringeva una profonda amicizia con l’alieno E.T., cercando di salvarlo da scienziati e soldati ottusi e crudeli, la povera Carol Anne avrebbe pagato oro perché orde di soldati fossero andati a salvarla dai Poltergeist che in men che non si dica distruggono l’esistenza a lei e alla famiglia, davanti agli sguardi impotenti di scienziati gentili ed amichevoli. Per dirla con le parole di Spielberg, insomma, “E.T. è un sussurro, mentre Poltergeist è un urlo”.


Infatti, nonostante poi, a conti fatti, non muoia nessuno nel film, Poltergeist fa davvero paura. Innanzitutto perché ci mostra quanto saremmo impotenti se delle forze spettrali si scatenassero in casa nostra, poi perché fa leva su paure ancestrali o tipiche dell’infanzia (il pagliaccio che i bambini tengono in camera, il temporale che ci sorprende la notte, ovviamente la morte e quello che sta “al di là”) e infine perché ci mette di fronte la straziante immagine di una famiglia troppo verosimile che si trova a dover affrontare una terribile perdita senza potere, in qualche modo, razionalizzarla. Ad alimentare la paura, come se non bastasse lo scioccante e intelligentissimo finale “doppio” (se lo guardate, capirete), concorrono degli splendidi effetti speciali dosati con parsimonia assoluta, pochi all’inizio (qualche sedia che si sposta), poi sempre più importanti e spaventosi, mano a mano che la storia prosegue e i Poltergeist diventano più potenti ed arrabbiati. In particolare, la scena finale è mozzafiato, ma anche la terribile sequenza in cui Robbie rischia di venire inghiottito dall’albero, o il tentativo di salvataggio di Carol Anne sono, ancora oggi, degli splendidi ed inquietanti esempi di cinema ben fatto. E ovviamente anche gli attori sono tutti bravissimi, una spanna sopra quelli che di solito partecipano alle pellicole horror. Come avrete capito quindi, secondo me Poltergeist è un film talmente bello e “fondamentale” che uguagliarlo sarebbe impossibile. Purtroppo, pare invece ci sia in programma l’ennesimo remake, al momento ancora un’”idea” nella mente della MGM. Se ne riparlerà nel 2013.


Del regista Tobe Hooper ho già parlato qui.

Craig T. Nelson interpreta il padre di famiglia, Steve. Americano, lo ricordo per film come Poltergeist II: l’altra dimensione, Turner e il “casinaro” e L’avvocato del Diavolo, per aver doppiato Gli Incredibili e per aver partecipato a serie come Charlie’s Angels, Wonder Woman, My Name is Earl e CSI: NY. Anche produttore e regista, ha 67 anni.


JoBeth Williams interpreta la mamma, Diane. Americana, la ricordo per film come Kramer contro Kramer, Il grande freddo, Poltergeist II: l’altra dimensione, Nei panni di una bionda, Fermati o mamma spara e Da giungla a giungla. Per la tv ha doppiato un episodio di Mighty Max e partecipato a serie come Sentieri, Frasier, 24, Numb3rs, Criminal Minds e Dexter. Anche produttrice, ha 63 anni e due film in uscita.


Heather O’ Rourke interpreta Carol Anne. Terribile il destino di questa piccola attrice, morta all’età di 12 anni a causa di un morbo intestinale, prima di completare le riprese del suo ultimo film, Poltergeist III: ci risiamo! Nella sua pur breve carriera ha partecipato all’intera trilogia di Poltergeist e ai  telefilm Fantasylandia, Chips e Happy Days.


Il film venne nominato per ben tre Oscar, quello per il miglior sonoro, per i migliori effetti speciali e per la migliore colonna sonora originale. I premi gli vennero strappati tutti dal “fratellino” E.T., a dimostrazione di come l’horror, anche se ben fatto, venga considerato dall’Academy un genere quasi da ignorare. Impossibile però ignorare la sfortuna che ha accompagnato gli attori protagonisti di Poltergeist, tanto da fargli guadagnare la nomea di “maledetto” a fronte di mille leggende metropolitane e poche, tristi verità, come la morte della giovanissima Heather O’Rourke e l’omicidio dell’attrice che interpretava sua sorella maggiore nel film, lo stesso anno della sua uscita nelle sale. A proposito di attrici, un altro legame tra E.T. e Poltergeist lo troviamo nel mancato casting di Drew Barrymore, che avrebbe dovuto interpretare Carol Anne e che invece, a causa del suo visetto “poco angelico”, è diventata la sorellina pestifera del famoso Eliott. Se siete fan sfegatati del film vi farà piacere sapere un paio di cose. Innanzitutto, esistono due seguiti, entrambi inferiori al primo episodio, Poltergeist II: L’altra dimensione e Poltergeist III: ci risiamo!, oltre ad una serie televisiva andata in onda verso la fine degli anni ’90, Poltergeist: The Legacy, che tuttavia non si riallaccia direttamente ai film. Inoltre, la casa dei Freeling esiste davvero, ed è tuttora abitata. Si trova al 4267 di Roxbury Street, a Simi Valley, California e potete trovarla anche su Google Maps, se mai voleste andare in pellegrinaggio mistico! E ora vi lascio con il vintagissimo trailer del film... ENJOY!!

venerdì 24 giugno 2011

Identità violate (2004)

Normalmente non mi sbatto a cercare e guardare questo genere di film, ma siccome qualcuno mi ha consigliato di vedere Identità violate (Taking Lives), diretto nel 2004 dal regista D.J. Caruso, ecco che mi trovo a doverne scrivere la recensione.



Trama: un’agente dell’FBI viene assegnata ad un caso legato ad un maniaco pluriomicida che si appropria dell’identità delle sue vittime. Un giorno però il killer viene riconosciuto per la prima volta da un testimone che, così, rischia di diventare la prossima vittima…



Come potrete capire dalla trama in Identità violate non c’è niente di troppo innovativo. E’ il classico film americano a base di superagenti dell’FBI che cercano di catturare un malvivente praticamente inafferrabile, con tutto il contorno di inseguimenti, indagini e diffidenza dei poveri sbirri “normali” che fanno il loro lavoro facendo la figura dei fessi davanti all’FBI. In questo caso particolare le atmosfere sono un po’ debitrici da quel capolavoro che è Il silenzio degli innocenti, perché la protagonista principale è donna (e che donna! direbbero alcuni) e la sfida tra lei e il killer affonda le radici proprio in questo e anche nel suo essere agente dotata di caratteristiche non comuni: coglie qualsiasi dettaglio della personalità altrui grazie ad un minimo gesto, si infila nelle fosse per capire com’è stata uccisa una vittima, vive circondata da foto di cadaveri e, ovviamente, è schiva, solitaria e non la da manco a morire pur essendo una strafiga da primato. Ecco, questa è l’unica differenza tra lei e la povera Clarice, che aveva dalla sua solo un cervello della madonna e veniva presa in giro da Hannibal per l’aspetto campagnolo.



Ma tornando su un piano più serio, bisogna dire che, nonostante avessi capito l’identità del killer più o meno verso metà film, Identità violate non è male. Innanzitutto ha un ritmo parecchio sostenuto e non ricorre a mezzucci come sparatorie lunghe delle ore o inseguimenti in macchina che paiono non finire più. Inoltre, l’idea di un “predatore” di identità che viene mostrato da giovanissimo solo nell’incipit iniziale offre la possibilità di creare un senso di angoscia e di pericolo imminente non da poco perché, in effetti, il killer potrebbe essere davvero chiunque. Senza contare che un paio di scene mi hanno fatta saltare dalla sedia, soprattutto nel finale, che mostra una Jolie stranamente vulnerabile, un maniaco anche troppo bastardo e che offre l’unico, vero ed inaspettato colpo di scena dell’intera pellicola. Gli attori in generale non sono malaccio e per una volta non fanno da mero contorno alla sempre bella Angelina, a proposito della quale farei una piccola osservazione femminile: all’interno di un thriller posso quasi capire perché mi ci infili una scena di sesso nemmeno troppo inutile… ma perché lui è talmente vestito che vien da chiedere come faccia a copulare e lei invece è completamente nuda? Alla domanda non viene data risposta, ma pare esista il Director’s Cut dove la scena è talmente lunga e dettagliata che alla buona Jolie si vedono anche le tonsille e non solo, visto che la mostrano pure sotto la doccia. Uomini, ingegnatevi e procuratevela, a me basta la versione normale.



Di Kiefer Sutherland ho già parlato qua, mentre un piccolo excursus della carriera di Angelina Jolie lo trovate qua. Già comparso sul Bollalmanacco anche Tchéky Karyo, più precisamente qua.

D.J. Caruso è il regista della pellicola. Ha diretto episodi di Più forte ragazzi, Dark Angel, Smallville e i film Disturbia e Io sono il numero Quattro. Americano, anche produttore, ha 56 anni.



Ethan Hawke interpreta Costa. Ex marito di Uma Thurman e attore molto attivo e famoso soprattutto negli anni ’90, lo ricordo per film come Explorers, L’attimo fuggente, Alive – Sopravvissuti, Giovani carini e disoccupati, l’inguardabile e tedioso Prima dell’alba e Gattaca – La porta dell’universo. Per la TV ha partecipato a un episodio di Alias e ne ha doppiato uno di Robot Chicken. Americano, anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 41 anni e sei film in uscita.



Gena Rowlands interpreta la Signora Asher. Americana, moglie del regista John Cassavetes, la ricordo per film come Qualcosa di cui… sparlare, She’s so Lovely – Così carina, Paulie – Il pappagallo che parlava troppo, Scherzi del cuore, The Skeleton Key. Ha inoltre partecipato a serie come Alfred Hitchcock presenta, Colombo e Numb3rs. Anche sceneggiatrice, ha 81 anni e un film in uscita.



Tra gli interpreti segnalo anche Justin Chatwin, già nominato per quella bruttura di Dragonball Evolution, qui nei panni del bulletto sognatore che compare all’inizio del film. Se Identità violate vi è piaciuto ma cercate comunque un thriller con un colpo di scena davvero degno di questo nome, e volete impazzire per capire l’identità dell’assassino, io consiglierei il bellissimo Identità. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!

mercoledì 22 giugno 2011

L'ultimo dei templari (2011)

Inspira. Espira. Inspira. Espira. Superiamo lo scazzo di avere visto una recensione praticamente completa andare interamente in fumo per colpa di un PC ormai ai suoi ultimi giorni di vita e RICOMINCIAMO DA CAPO. (aggiungere bestemmia a piacere, grrrazie!).

DOPPIETTA, STASERA VE BECCATE LA DOPPIETTA! Prima X - Men: l'inizio, ora L'ultimo dei templari. Che non diventi un'abitudine, mi raccomando. Mh. Mhhh!!


Dicevo, dovrei fare voto di non andare più al cinema almeno fino all’uscita dell’ultimo Harry Potter, perché ultimamente riesco a vedere solo film che, sulla carta, sarebbero anche pregevoli, ma che in qualche modo vengono rovinati da messe in scena improponibili. E sì, Dominic Sena, sto parlando del tuo film L’ultimo dei templari (Season of the Witch), uscito in Italia in questi giorni, non far finta di non sentirti chiamato in causa.



Gesù, da che parte posso cominciare a parlare di questa vaccata? Beh, iniziamo dal titolo, l’ennesimo di una lunga serie di pessimi adattamenti italiani. Season of the Witch significa Stagione della Strega. Avrei accettato persino un “Al tempo delle streghe”, stiracchiato ma fattibile, e invece no, il risultato finale è “L’ultimo dei Templari”. Nicholas Cage nel film viene chiamato Cavaliere, Crociato, vile, infedele, a momenti persino Peppino ‘o pizzaiolo, mai una volta si parla di Templare. Capisco che i distributori volessero richiamare gente creando il collegamento tra Il mistero dei Templari, sempre con Nicholas Cage, e questo film, ma sono passati sette anni per la miseria, chi vuoi che se lo ricordi e a chi vuoi che interessi?? A parte che io come titolo avrei messo La stagione del Sandrone, dove per Sandrone intendo l’Oreopiteco, vista l’arguzia e la finezza con la quale è stato realizzato ed interpretato il film.



Entriamo in sala, sediamoci comodi e godiamoci una (bella, bisogna dirlo) introduzione correlata di data precisa, dove vengono impiccate tre presunte streghe e dove un prete si ritrova a dover riconsiderare l’effettiva bontà del suo Dio. Si comincia bene, per la miseria! La sequenza dopo ci catapulta invece ad un generico “al tempo delle Crociate”. Va bene sopravvalutare gli spettatori, ma potevi almeno scrivermici un “tredicesimo secolo”, o qualcosa di simile… o forse anche no, tanto chi se ne frega. Andiamo avanti, e godiamoci il quarto d’ora di battaglia dei Crociati, la stessa scena ripetuta in quattro ambienti diversi giusto per non annoiare lo spettatore, durante la quale facciamo la conoscenza dei nostri due amici protagonisti: il Cameron Poe di Con Air dopo una decina d’anni di pranzi abbondanti e Hellboy struccato, col sembiante del buon vecchio Salvatore de Il nome della Rosa. E giù grasse e virili risate, tra scommesse a chi stacca più teste, zuccate ben date, sciabolate, escort dell’epoca, cervogia… almeno finché non ci rimette la vita una ragazzina e l’espressione di Nicholas Cage cambia quel tanto da consentire allo spettatore (molto) attento di capire che la sua vita non sarà mai più la stessa e che questo dilemma morale gli farà dismettere le insegne di Cavaliere. Commossi, non possiamo fare altro che attendere l’ulteriore sviluppo della vicenda, che arriverà dopo un mese di cammino dei nostri, durante il quale Cage non avrà perso nemmeno un etto. D’altronde, stiamo parlando di una storia di magia.



E qui inizia la parte bella ed importante del film, quella fatta davvero bene. Sì perché viene introdotta la figura della ragazza accusata di stregoneria, che porta con sé incertezza e un non disprezzabile senso di inquietudine. Sarà davvero una strega oppure è l’ignoranza di paesani e bigotti ad averla giudicata senza motivo? Durante il viaggio ne succedono di cotte e di crude, si aggiungono anche personaggi decisamente meglio definiti e più apprezzabili dei due protagonisti, ma c’è sempre il dubbio se la strega sia reale, se le disgrazie che funestano il gruppetto non siano dovute a semplice sfiga e a strade impraticabili; c’è persino un momento in cui ho dovuto guardare altrove, sopraffatta dalle vertigini, e attimi di vera suspance, con i personaggi che vagano braccati e spauriti in villaggi bui, paesaggi nebbiosi, foreste oscure… Ovvio, bisogna sempre ignorare gli pseudo- dilemmi del cavalier Poe e la sua faccetta bolsa ma, ribadisco, questa parte del film è molto bella, girata bene, evocativa, inquietante. Ed è per questo che un finale orrendo mi ha fatto cadere ancor più i sentimenti.



Non sto a scendere nel dettaglio per non “rovinare” la “sorpresa” a chi fosse così sventurato da vedere L’ultimo dei templari ma sappiate che il mistero legato alla presunta strega viene svelato nella maniera più banale e trita che si potesse immaginare e da lì comincia un disastro, sottolineato da uno dei miei compagni di cinema che a questo punto ha esclamato “Che troYata di film!!”: effetti CG talmente fasulli da fare venire le convulsioni, dialoghi al limite del ridicolo, spacconate e mosse che nemmeno nella WWE, esseri che ricordano pericolosamente un mix tra le bestie più malfatte dei film di Harry Potter e quelle de Il bambino d’oro con Eddie Murphy, l’inutile (almeno per noi italiani, ovvio!) e ridondante spiegazione del titolo originale inglese con tanto di sequenza finale moralista e strappalacrime (leggi: fastidiosa). Insomma, da Cage non mi aspettavo di meno, ma ammetto che mi dispiace vedere Ron Perlman, che pure è l’unico in grado di dar spessore al suo risibile personaggio assieme a Stephen Graham, buttarsi via con una cosaccia simile. Peccato perché, in mani altrui, sono quasi sicura che L’ultimo dei templari sarebbe stato un film quantomeno degno di essere visto. E invece, così non è stato, quindi, come avrebbe detto Salvatore… PENITENZIAGITE!!!!  



Di Nicholas Cage, qui nei panni del cavaliere Behmen, ho parlato qua, mentre Ron Perlman, alias il cavaliere Felson, lo trovate qui. Stephen Graham, che interpreta l’imbroglione Hagamar, è già stato nominato qua. Non dimentichiamo infine l’apparizione di Christopher Lee come cardinale ammorbato dalla pestilenza; del grandissimo attore trovate un trafiletto qui.

Dominic Sena è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Kalifornia, Codice: Swordfish e Fuori in 60 secondi. Anche sceneggiatore, ha 62 anni.



Ulrich Thomsen interpreta il cavaliere Eckhart. Danese, ha partecipato a film come Festen – Festa in famiglia, Il mistero dell’acqua e ad alcuni episodi della serie Alias. Anche produttore, ha 48 anni e tre film in uscita, tra cui il remake de La cosa.



Se foste appassionati di medioevo, cavalieri, mistero, streghe, insomma tutto quello che il trailer de L’ultimo dei Templari promette senza mantenere, guardatevi capolavori come Il settimo sigillo, Ladyhawke o Il nome della Rosa, se non lo avete ancora fatto. Mi ringrazierete. Intanto vi lascio col trailer ingannevole... ENJOY!!

X-Men: l'inizio (2011)

Qualche sera fa sono andata a vedere X – Men – L’inizio (X – Men: First Class), diretto da Matthew Vaughn. Come sempre, sono partita molto più che prevenuta, visto che sono una fan accanita del gruppo di mutanti Marvel, ma per fortuna anche questa volta sono uscita dalla sala soddisfatta.



Trama: il film racconta la nascita del primo gruppo di X – Men, negli anni della guerra fredda tra USA e Russia. Vediamo così un giovane Charles Xavier che, assieme alla “sorella adottiva” Raven, si allea ad un altrettanto giovane Erik Lehnsherr per impedire all’ex nazista Sebastian Shaw di far scoppiare la terza guerra mondiale.



A parer mio questo X – Men: l’inizio è un film in grado di soddisfare sia i fan del fumetto sia gli spettatori che non hanno assolutamente idea di chi siano i mutanti della Marvel. A prescindere dal conoscere o meno il background dei personaggi (su cui tornerò, perché sono pignola…) infatti gli sceneggiatori hanno imbastito una storia molto bella nella sua semplicità, senza mettere troppa carne al fuoco e concentrandosi su quello che, alla fine, è il fulcro dell’intera saga degli X – Men: la costante battaglia tra “normalità” e diversità. Fondamentale, a questo proposito, ambientare il film in un’epoca durante la quale i mutanti erano ancora pochi, sparuti e quasi inconsapevoli di essere portatori del gene X. Altrettanto fondamentale mostrare, prima ancora della rivalità, la profonda amicizia che legava i due protagonisti (e futuri acerrimi nemici) Charles Xavier ed Erik Lehnsherr. Il primo è ricco, bello e intelligente, nato e cresciuto in un mondo praticamente “ideale”, fermamente convinto della possibilità di integrare i mutanti nella società; il secondo invece è irrimediabilmente segnato dall’olocausto, dalla consapevolezza della crudeltà portata dal terrore del “diverso”, fermamente convinto che una razza minacciata dalla mera presenza di un’altra si impegnerà con tutti i mezzi per eliminarla dalla faccia della terra. Il film non offre una soluzione facile a questa contrapposizione, anzi. Sembrerebbe quasi, sul finale, che sia Erik ad avere ragione, e che la battaglia di Charles per l’integrazione sia una causa persa, sebbene i suoi metodi siano moralmente più giusti di quelli di Erik: ma come si fa a non uccidere chi vuole ucciderci per primo, che ci vorrebbe morti solo perché diversi? E come facciamo a dire che ripagare gente come Shaw con la stessa, sanguinosa moneta, non ci rende uguali, se non peggiori, a loro? Un eterno dilemma al quale, in cinquant’anni e passa di storie, non è ancora stata data una risposta univoca.



In mezzo ai due contendenti, poi, ci sono gli altri mutanti. Ben lontani dall’essere granitici cattivoni tout court come Shaw e la sua cricca, o esperti conoscitori dei propri poteri come Charles Xavier, questi ragazzini, questa prima generazione di X – Men, sono pieni di dubbi, insicurezze e paure. I personaggi più riusciti in tal senso sono quelli di Raven e di Hank McCoy, entrambi portatori di mutazioni che li rendono palesemente diversi e mostruosi, quindi ideale fulcro della contrapposizione tra i loro due “mentori”. E laddove la prima ha la possibilità di sembrare normale proprio grazie ai suoi poteri di mutaforma, di plasmarsi quasi in base ai desideri degli altri, il secondo cerca di sfruttare il suo cervello per eliminare quell’aspetto della sua mutazione che lo rende mostruoso e per questo unico, peggiorando così la situazione. Paradossalmente, la decisione di accettarsi per come si è (almeno in X – Men: l’inizio) va di pari passo con l’altrui sopraffazione, mentre sono proprio quelli che odiano sé stessi a ricercare l’accettazione degli altri, con tutto quel che ne consegue.



Terminati qui gli sproloqui sul significato del film, passiamo all’aspetto prettamente cinematografico e a quello “nerd”. Visivamente parlando, X – Men: l’inizio è forse il più bello dei cinque film sui mutanti Marvel. Imponente la scena finale con la miriade di missili che cercano di colpire Magneto, mozzafiato le evoluzioni del Blackbird, soprattutto quando viene insidiato dai tornado di Riptide, molto bello anche l’effetto del volo di Banshee, con tanto di sonar. Credo però che rappresentare degnamente i poteri mutanti sia un ostacolo che, per quanto gli effetti speciali progrediscano nel tempo, nessuno riuscirà mai a superare del tutto: qui troviamo la solita particolare trasformazione di Mystica, perfetta nella CG ma inguardabile, come sempre, per quanto riguarda il make-up (quel colore blu con quella parrucchetta rossa la fa sembrare un orrendo pupazzo, anche peggio che nei primi tre X-Men), make – up che, per quanto riguarda la Bestia, farebbe venire voglia di cavarsi gli occhi per l’orrore (se Mystica è un pupazzo di gomma, Bestia è un peluche di quelli che ti vendono i cinesi al mercato: improponibile). Voto 10 invece alla trasformazione in diamante di Emma Frost, alle scariche al plasma di Havoc e al teletrasporto del rosso Azazel. Ma ovviamente non sono gli effetti speciali e il make – up a rendere X – Men: l’inizio superiore agli altri film della saga (Wolverine a parte, quello non si tocca!), quanto piuttosto la sottile vena ironico – trash che percorre l’intera pellicola. Vedere un inedito Charles Xavier “beccione”, che tenta di intortarsi le fanciulle parlando di cromosomi e mutazioni, o mentre chiede che non gli vengano toccati i capelli (sia mai che resti calvo!!), mentre ricerca giovani mutanti in equivoci locali di strip – tease assieme a Erik, mentre assieme allo stesso Erik si fa mandare letteralmente a fanculo da Wolverine nella scena più bella del film è esilarante tanto quanto le mise à la Austin Powers della gang di Sebastian Shaw e la faccia che fa quest’ultimo quando Xavier lo blocca telepaticamente (non si capisce se Kevin Bacon stia per vomitare o che…). Avendo nominato l’uomo Footloose, parliamo anche degli attori: Fassbender nei panni di Magneto è semplicemente perfetto, fiero, commovente ed emozionante, si mangia senza troppi problemi il moscetto James McAvoy che nei panni di Xavier qualche risata, appunto, la strappa, ma nulla più. Kevin Bacon nel ruolo di Sebastian Shaw mette i brividi, convincentissimo e bravo sia come nazista che come “villain” marvelliano. Per quanto riguarda i giovani attori non sono male… ma qui si sfocia nel terreno del nerd, indi per cui apriamo un altro paragrafo poi la finisco qui, giurin giuretta.



I giovani attori, dicevo. Per me che adoro gli X - Men e tutto il loro mondo più importanti ancora dei poteri sono le personalità. E, lo ammetto, mi sarebbe piaciuta un po’ più di fedeltà alla continuity dei fumetti o, perlomeno, dei film precedenti. Siccome però questo X – Men: l’inizio, come da titolo è, appunto, un prequel per futuri film che si discosteranno dai primi tre e da Wolverine, ecco che gli sceneggiatori hanno dato un bel colpo di spugna e hanno ricominciato da capo, senza preoccuparsi troppo di approfondire personaggi messi lì più che altro per la spettacolarità dei poteri, con il risultato che i poveri attori risultano alla fine dei pupazzetti lontani anni luce dai mutanti “veri”, inevitabilmente deludenti. E se il povero Armando “Darwin” Muñoz è quello che si becca il trattamento peggiore pur essendo virtualmente immortale (d’altronde il personaggio attualmente milita in X – Factor, e a parte gli aficionados chi è che conosce anche solo lontanamente questa interessantissima formazione?), gli altri non se la cavano meglio. A parte i tre protagonisti principali, infatti, sono solo Bestia, Mystica e Banshee (stupenda la scena in cui, da bravo cattolico irlandese, si fa il segno della croce prima di provare a volare) a venire dotati di una qualche personalità un po’ più approfondita e a non distaccarsi troppo dai personaggi Marvel “storici” (anche se un legame tra Raven e Hank o Charles non è mai esistito!). Di Havoc viene mantenuta la difficoltà iniziale nel controllo dei poteri e persino la tutina contenitiva con tanto di cerchi concentrici sul petto, ma mi sorge spontanea una domanda: perché diamine era in galera e non in un orfanotrofio con il fratellino Ciclope? Mah. Per quanto riguarda Angel Salvadore, le sarebbe piaciuto a ‘sta buzzicona fare la fighetta spogliarellista nei fumetti, e anche sputare fuoco invece di muco corrosivo; peccato che la mutante in questione sia stata abbellita per il pubblico maschile e trasformata in una graziosa e sexy follettina, quando in realtà era un’orrenda e cicciona ragazza - mosca creata nel periodo in cui era quel pazzo di Grant Morrison a scrivere le storie degli X – Men. E se ad Angel è andata bene, purtroppo deve ancora nascere l’attrice col carisma necessario ad interpretare la meravigliosa Emma Frost: bellissima, glaciale, stronza, imperturbabile e capace di imprevedibili picchi di rara umanità, se continueranno ad usarla come personaggio secondario non ne coglieranno mai l’essenza e ogni sua versione cinematografica sarà sempre una ciofeca. Mi perplime anche l’idea di affiancare a Shaw, con tutti i villain che c’erano, proprio due personaggi come Azazel e Riptide: il primo, nei comics è una sorta di demone infernale, padre di Nightcrawler (devo quindi dedurre che nei seguiti lo vedremo accoppiato a Mystica?!?) comparso giusto per qualche numero; il secondo in realtà non crea dei veri e propri uragani, come nel film, ma è semplicemente in grado di roteare molto velocemente e di produrre secrezioni ossee che usa come proiettili da lanciare contro i nemici. Siccome il personaggio è uno dei mille e pluriclonati Marauders di Sinistro, singolarmente non è mai servito molto all’economia delle storie. Last but not least, Moira McTaggert, qui una banalissima agente americana della CIA, in realtà una genetista assai superiore allo stesso Charles Xavier e, per qualche tempo, anche fidanzata di Banshee. Uno splendido, umanissimo e testardo personaggio, purtroppo fatto morire ormai parecchio tempo fa, il cui spirito indomito non viene affatto rappresentato nel film.



In definitiva, non so cosa avrete capito di questo lungo e nerdissimo sproloquio, quindi gira che ti rigira la cosa importante della recensione ve la metto in neretto: come ho detto all’inizio, nonostante ovvie imperfezioni e “mancanze”, X – Men: l’inizio è comunque un bel film, ben girato e in gran parte ottimamente interpretato, in grado di mescolare azione e riflessione, consigliato ai fan e anche a chi non conosce i mutanti Marvel. Insomma, guardatelo, damn it!



Del regista Matthew Vaughn ho già parlato in questo post; la pellicola avrebbe dovuto essere diretta da Brian Synger, già responsabile di X – Men e X2, che per colpa di impegni pregressi è rimasto solo come produttore. Passando agli attori, James McAvoy (Charles Xavier) lo trovate qua, il bellissimo Michael Fassbender (Erik “Magneto” Lehnsherr) lo trovate qui e infine del buon Kevin Bacon (Sebastian Shaw) ho parlato qua. Tra le guest star segnalo Ray Wise nei panni del segretario di stato e l’apparizione a sorpresa di Hugh Jackman nei panni di Wolverine, ovviamente!

Oliver Platt interpreta l’agente della CIA che per primo accoglie Xavier. Canadese, lo ricordo per film come Una donna in carriera, Linea mortale, Beethoven, Proposta indecente, il tamarrissimo I tre moschettieri della Disney, Il Dottor Dolittle e il commovente L’uomo bicentenario, inoltre ha partecipato alle serie Miami Vice e Nip/Tuck. Anche produttore, ha 51 anni e due film in uscita.



Rose Byrne interpreta Moira McTaggert. Australiana, ha partecipato a film come Star Wars: Episodio II - l’attacco dei cloni, Troy, Maria Antonietta e 28 settimane dopo. Ha 32 anni.



Jason Flemyng interpreta Azazel. Inglese, lo ricordo per film come Mowgli – Il libro della giungla, Rob Roy, Deep Rising – Presenze dal profondo, Lock & Stock, Snatch, La vera storia di Jack lo squartatore, La leggenda degli uomini straordinari, Stardust, Mirrors – Riflessi di paura, Il curioso caso di Benjamin Button e Kick – Ass. Ha 45 anni e un film in uscita.   



Tra gli altri attori presenti nel film segnalo Zoe Kravitz (figlia di Lisa Bonet e Lenny Kravitz) nei panni di Angel Salvadore e Rebecca Romijin, già presente nei primi tre film dedicati agli X – Men, nei panni della Mystica più “vecchia” che si vede per qualche istante nel letto di Erik. Sempre a proposito di Mystica, per il ruolo era in lizza anche Amber Heard, la protagonista di The Ward di John Carpenter, mentre per quanto riguarda Sebastian Shaw, l’indecisione era tra Colin Firth e Kevin Bacon, ma ha vinto il secondo in quanto, pare, più minaccioso. Se vi è piaciuto X – Men: First Class preparatevi al seguito, previsto nel 2014, e nel frattempo guardatevi gli altri quattro film dedicati al gruppo mutante. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!!


domenica 19 giugno 2011

ESP - Fenomeni paranormali (2010)

Lo spettatore accorto, quale io pensavo di essere, dovrebbe riuscire a riconoscere le “bufale” lontane un miglio. Un titolo italiano ignorante, per esempio, è simbolo di un adattamento fatto a tirar via, l’uso di uno pseudonimo che nasconda i registi è un altro indizio di fregatura quasi assicurata, locandine praticamente identiche a quelle di altri film simili sono l’ultimo, inequivocabile segnale di allarme rosso. E nonostante tutto, sono ovviamente andata a vedere ESP – Fenomeni paranormali (Grave Encounters), diretto nel 2010 dai Vicious Brothers.


Trama: allo spettatore vengono mostrate le ultime ore di girato dell’ultimo episodio di ESP – Fenomeni Paranormali, un programma dove un gruppetto di “investigatori” cerca di documentare la presenza di attività paranormali in luoghi che si presuppone siano infestati. Come scritto sulla locandina: “cercavano le prove… e alla fine (ahiloro) le hanno trovate…”.


Innanzitutto, lasciatemi il sommo piacere di massacrare il titolo italiano. ESP. Extra Sensorial Perceptions. Percezioni Extrasensoriali, ovvero tutte quelle facoltà come telepatia, precognizione, chiaroveggenza, che consentono di vedere qualcosa che vada oltre i cinque sensi che ogni essere umano dovrebbe possedere. I fenomeni paranormali c’entrano come i cavoli a merenda, ché non è il fantasma o l’apparizione o la sedia che si sposta e mi prende in piena faccia a farmi urlare al miracolo e farmi correre dagli amici a dire: “guardate, ci ho il potere e-esseppì, oh!!”. No. Ma si sa, la distribuzione italiana ha fatto anche di peggio e con film migliori, quindi si potrebbe sorvolare sulla cosa. Dunque è con ancor più sommo piacere che massacrerò la pellicola in sé.


The Vicious Brothers. I Fratellini depravati. Uuuh, ho già i brividi. Con un nome così, minimo minimo mi devi sfornare qualcosa che al confronto lo Human Centipede è un episodio dei Teletubbies. E invece mi propini una cosetta come ESP. Un’accozzaglia di luoghi comuni, un minestrone di tutti gli ultimi famosi mockumentary horror senza neppure la pretesa di essere verosimile. E la cosa fa rabbia perché a me, sotto sotto, questi pseudodocumentari piacciono proprio per il paradosso di mostrare una cosa assurda in maniera verosimile, mi fanno un sacco paura, soprattutto quando ci sono delle scene con la visione notturna virata in verde (tecnica che, ho scoperto, è l’ultimo spauracchio dopo i pagliacci, i burattini e le bambole, l’unica cosa in grado di farmi guardare il film con un occhio aperto e uno chiuso), quando aspetto il colpo di scena che viene dilatato all’infinito, quando mi si chiudono ermeticamente le vie respiratorie tanto mi immedesimo nella povera giornalista inseguita dagli zombie in un caseggiato buio, per dire. E perché dunque non dovrei apprezzare ESP, che inizia come una puntata di Mistero (ci sono persino Raz Degan e il mago Casanova, cialtroni uguali!!), continua citando il Maryland e intervistando “testimoni” come in The Blair Witch Project, e va avanti strizzando l’occhio a Rec infilando qua e là fantasmi di pazienti zombie? Perché i Vicious Brothers annullano ogni realismo residuo tirando fuori la storia della bolla spazio – temporale, il che significa che i protagonisti del film non riescono più ad uscire dall’ospedale psichiatrico, che si trasforma in un labirinto dove il tempo non passa più. Mavvaffancuore, e allora chi, come, dove e quando soprattutto ha potuto ritrovare il materiale girato da quei poveri sfigati?


Ma fosse solo quello! Passi gli attori, anche se un paio di loro sono semplicemente ridicoli, e sto parlando del sensitivo (un incrocio tra Michael Jackson prima maniera e Giucas Casella, impossibile non ridere ad ogni sua apparizione) e dell’unica ragazza, che in parecchie inquadrature assume l’espressione tipica della tossica in botta, ma non posso ignorare lo spudoratissimo e inutile plagio di una marea di horror più o meno conosciuti. Capisco che ovvi rimandi a The Blair Witch Project e Rec siano inevitabili, però qui si esagera: la ragazza che invoca la mamma (“E vorrei chiedere scusa a mia madre… a mio padre” diceva una volta la ragazza sperduta nel bosco in cerca della Strega di Blair…)?  La vasca colma di sangue che inghiotte uno dei malcapitati, ripresa peraltro con la visione notturna (STESSA inquadratura di Rec 2)? Il primo incontro con i malati/zombie (STESSA inquadratura col cadavere vestagliato e ciondolante che introduceva la “abuela” di Rec)? Le manine che, santo cielo!, spuntano dai soffitti per ghermire i protagonisti (questo mi ha ricordato Paganini Horror)? Queste sono solo le “citazioni” (e chiamiamole così…) più evidenti, ma tutto l’impianto pesca ampiamente dall’orrendo Dark Floors dei Lordi (e diciamo che per citare IL film dei Lordi devi essere messo malissimo!!), e inoltre vengono infilate cose assolutamente stupide e gratuite, come la magia nera alla fine, il trucco dei fantasmi identico a quello dei personaggi di film espressionisti come Il gabinetto del Dottor Caligari (si sa che negli anni ’20 la moda dei manicomi era avere la faccia bianchissima e strati di kajal spessi tre dita attorno agli occhi, ma la cosa esilarante è che se diventi pazzo nel 2011, automaticamente ti ritrovi con lo stesso look, almeno secondo i Vicious Brothers!!) e, dulcis in fundo, il fumo nero di Lost. Sì, quello che passava e portava via la gente. E’ lo stesso, fidatevi, fa lo stesso rumore ticchettante. Non a caso è l’effetto speciale migliore di un horror che, nel 2011, non riesce a nascondere il fatto che le manine che spuntano dai muri sono palesemente fasulle. E per l’amor di Dio la finisco qui, che non ne posso più di ricordare immagini di questo filmaccio. Con i miei poteri ESP, e la sola imposizione delle mani, vi suggerisco di NON vederlo.  

The Vicious Brothers, al secolo Colin Minihan e Stuart Ortiz sono i registi, sceneggiatori e responsabili del montaggio del film. Entrambi americani e venticinquenni, questa è la loro prima collaborazione, anche se Ortiz aveva già lavorato in campo televisivo come aiuto regista per un episodio della seconda stagione di Masters of Horror.


Ammazza che facce da pEErla....!

Sean Rogerson interpreta Lance Preston, il presentatore di ESP – Fenomeni paranormali. Attore canadese la cui carriera, almeno finora, è stata prevalentemente legata alla tv, lo ricordo per aver partecipato ad episodi di Tru Calling, La zona morta, Supernatural e Smallville. Ha 34 anni.


Juan Riedinger interpreta Matt, il tecnico. Canadese, ha partecipato a film come Black Christmas  - Un Natale rosso sangue, Alien vs Predator 2, Il corpo di Jennifer (interpretava uno dei musicisti strepponi) e ad episodi di serie televisive come Smallville e Supernatural. Anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 30 anni e due film in uscita.


Mackenzie Gray interpreta Houston, il “sensitivo”. Presenza (involontariamente?) comica del film, ha partecipato a Parnassus e a episodi delle serie Nikita, Oltre i limiti, Supernatural e Smallville. Canadese, anche produttore, ha 54 anni.


E ora vi lascio al trailer originale del film... ENJOY!


Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...